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Intervista esclusiva allo chef Yannick Alléno che insieme ad Alain Ducasse, Pierre Gagnaire, Joel Robuchon formano il poker d'assi della cucina d'Oltralpe

Oggi si fa un grande marketing sulla cucina locale, perché produce business, ma le culle della cucina mondiale restano la Francia e l’Italia.

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È appena terminato l’annuale appuntamento dei mille volti della cucina internazionale di Milano. Un appuntamento quello di Identità Golose troppo ghiotto per poterlo mancare, dove i cuochi, pardon gli “chef”, di tutto il mondo possono incontrare i nuovi miti delle dell’empireo gastronomico, come il peruviano Gaston Acurio, il giapponese Yoshihiro Narisawa, Margot Janse, la bella francese che lavora in Sud Africa, lo spagnolo Joan Roca, il francese Eric Ripert, il nostro Massimo Bottura insieme ad Heinz Beck, Massimiliano Alaimo, Niko Romito, Carlo Cracco e Davide Scabin. Personaggi che portano il bagaglio di geniale creatività delle loro cucine per presentarlo a una platea di esperti dei media e di addetti ai lavori e poi confrontarsi su quello che potrebbe e dovrebbe essere il prossimo futuro della nostra ristorazione e di quella mondiale.

E dove sta andando la cucina nel mondo lo abbiamo chiesto a Yannick Alléno che  insieme ad Alain Ducasse, Pierre Gagnaire, Joel Robuchon  (i più importanti tre stelle Michelin francesi) formano il poker d’assi della cucina più perforante d’Oltralpe per la sua complessità e struttura: per essere inimitabile -  dicono loro- ma sicuramente sublime per il palato. 

Se In Italia Yannick Alléno è il meno conosciuto dei quattro,  non è cosi nel resto del pianeta dove i  gourmet di tutto il mondo lo considerano l’espressionista moderno della cucina francese. Tant’è che per la seconda volta la Gault&Millau, la sofisticata guida gastronomica d’Oltralpe, lo ha premiato per la migliore cucina dell’anno  2015.

La sua “cuisine française” è rappresentata in uno straordinario libro di cucina, composto da più di 1200 pagine e 500 ricette che raccontano il meglio dei 25 anni di creazioni di Yannick . Una sorta di  bibbia della cucina francese contemporanea.  Il libro si rivolge ai buongustai che hanno fatto super-high-end da pranzo un'esperienza cult, infrangendo le regole della cucina francese. 

Noi lo abbiamo incontrato a Pechino, porta d’accesso e testa di ponte per espandere nel pianeta Cina la sua cucina. Lo chef è stato ingaggiato dalla storica catena asiatica degli Hotel Shangri-là  per creare una linea di ristorazione francese ed europea in tutti gli hotel della compagnia, in modo da esaudire le richieste dei nuovi gourmet asiatici i quali, sempre più spesso, si avvicinano alla cultura occidentale del food scoprendone le gustose preparazioni e provocazioni. 

 

 

Al “Gala Dinner” di Pechino – evento mondano gastronomico riservato a sole 60 persone del top management finanziario e politico cinese,  e alla stampa arrivata da tutto il mondo (noi eravamo presenti in “prima fila”) -, Yannick  Alléno si è presentato con un robusto menù di sette portate, all’insegna della grande e barocca cucina del suo Paese, tutto a base di foie-gras e tartufo nero. Un inno al piacere sensitivo e sensuale che solo i grandi cuochi sanno esprimere, una esplosione di emozioni e di sapori tra piatti rivisitati e contaminazioni armoniche. Lo starter, una selezione di canapé  innaffiata dalle bollicine di un Dom Perignon del 2002;  a seguire, le straordinarie “ostriche in gelatina di porro con tartufo nero”, accompagnate da un raffinato Riesling “le Kottabe”; poi, il sapore vibrante di una “zuppa di carciofi con crema di mascarpone e tartufi”, abbinata a un 1°er Cru Montmains;  e ancora, la “terrina di capasanta  con lamelle di tartufo”.  Ma è “l’anatra stufata con foie-gras avvolta in foglie di cavolo cappuccio” che fa piangere di gioia il gourmet  per le emozioni che provoca. Sono questi i piatti dello zoccolo duro che fanno la forza e la storia della cucina  francese. 

Per il dessert, Yannick si è seduto al nostro tavolo per sapere come era andata, e noi ne abbiamo approfittato per fissare un incontro in Italia per fargli alcune domande su quello che ha trovato venendo in Cina e quello che sta succedendo nel mondo del food  internazionale.

 

Questo “fascinoso ragazzo di 46 anni, sempre sorridente,” ci confida di essere nel pieno della sua forza creativa che realizza nel suo laboratorio-cucina nel prestigioso Hotel Cheval Blanc, a Courchevel, in Savoia, dove spazia tra avanguardia e tradizione, attingendo soprattutto ai prodotti del territorio per creare un ponte tra classicità e modernità.

 

Qual è oggi il confine ultimo della cucina?

Nonostante l’overdose di confronti e “chiacchere” che produce il pianeta food, credo che non sia stato ancora trovato. Da parte mia, lo cerco ancora. E’ importante continuare a cercare nuovi sapori, trovare nuove vie, però senza strafare con le integrazioni e contaminazioni alimentari per procurare alla gente nuove esperienze, come sta facendo oggi la cucina francese. E come cerco di fare io. 
In Francia, negli anni 80, eravamo un po’ imprigionati nel modo di cucinare. Solo oggi siamo finalmente diventati i figli di quel periodo che è stato sicuramente significativo per la cucina francese. Gli anni di Michel Guérard sono stati importanti perché, allora, si disse agli chef che dovevano finirla con la cucina classica e borghese e puntare su una cucina moderna, aperta, e scelta da tutto il mondo.

 

 

A Pechino, i prodotti cinesi sono adatti per realizzare una cucina di eccellenza?

Non sono il massimo. Ci sono dei prodotti deliziosi, ma bisogna andarli a trovare. Ci vorrà del tempo, ma la cucina orientale è un mercato importante ed è per questo che voglio essere qui. 

 

I prodotti locali, però, non hanno lo stesso gusto e sapore di quelli europei.

Certo, ma la cucina si deve adattare ai Paesi nei quali si lavora. Credo che la forza degli chef francesi che si sono esportati sia sempre stata quella di saper analizzare la materia prima disponibile sul posto. Escoffier, all’epoca, già lo faceva. A quel tempo non esistevano aerei ecc., e ci si doveva adeguare a ciò che si trovava. Così, oggi, la nostra forza è quella di cercare in Cina e in asia in generale, produttori che ci garantiscono la genuinità e bontà dell’alimento. 

 

I cinesi hanno “un palato” per capire una cucina tre stelle francese?

Qui  abbiamo creato una cucina chic, seria, ma decontratta, con l’obiettivo di avere un posto piacevole dove condurre i clienti per una cucina di qualità. Per il resto è come da altre parti: la gente viaggia e fa paragoni e siamo fieri di avere molta clientela locale che viene a mangiare cucina francese, una cucina classica, moderna, comprensibile.

 

Parlavamo di cucina in evoluzione. Talmente in evoluzione che ormai tutto il mondo segue l’alta cucina, quella creativa, concettuale, non quella per sfamarsi. Cosa ne pensa di questi nuovi Paesi che sono entrati a gamba tesa nell’alta cucina, come l’Inghilterra, la Svezia, il Brasile, Il Peru?

Penso che oggi si fa un grande marketing sulla cucina locale, perchè produce busines, ma le culle della cucina mondiale restano la Francia e l’Italia. Questi due Paesi hanno saputo preservare la diversità della loro agricoltura e cultura alimentare ed è anche per questo che sono i leader della cucina mondiale. Poi, certo, Inghilterra, Svezia e Brasile e Perù hanno fatto un lavoro notevole, ma non è un fenomeno nuovo. Io sono un tipo curioso e sono andato a vedere sul posto. Bene, gli chef che lavorano in maniera significativa sulla cucina sono quelli che già c’erano da tempo, come testimoniato peraltro dalla Michelin che da quattro, cinque anni dà le sue stelle. Dopo, è il marketing che fa gonfiare il fenomeno, spingendo molto quello che viene fatto. Comunque, è un bene vedere la cucina mondiale migliorare il suo livello: questo spinge tutti a fare sempre meglio.

 

 

C’è una cucina di Yannick Alléno con una sua particolarità, come quelle di Beck o di Robuchon  e Ferran Adrià?

Penso di avere una cucina moderna con diversità legate ai vari ristoranti dove si gusta la cucina di Alléno. A Parigi, faccio un lavoro speciale, cercando di offrire l’essenza della cucina parigina con il gran saper fare alla francese e la scelta di un prodotto estremo, molto moderno. Nel ristorante a Courchevel ho voluto tornare a ciò che è il pranzo gastronomico dei francesi, concepito come un momento di condivisione e di festa. La sua particolarità è la scelta della portata principale da condividere con gli amici, (come il suo capolavoro il fantastico “ Foie gras in camicia al vino di Chambertin”).  E sulla base di queste idee gastronomiche fare il menù. Al ristorante, per esempio, faccio sperimentare una proposta super tradizionale, che è la lepre alla Royale per venti. La prendo, la faccio marinare e la tratto secondo i dettami di Luigi XIV per tre giorni. E la lepre alla Royale così trattata non ha paragoni con niente altro, perché è il top e non è possibile fare di meglio: è così che va fatta. Con questo piatto, faccio provare ai clienti esperienze gustative diverse. Oggi l’avvenire del food  passa attraverso un ritorno alla vera tradizione, quella scomparsa, e  la grande ristorazione dovrà essere così.

 

Quando si è manifestata la sua passione per la cucina e quali sono stati i suoi modelli gastronomici?

A otto anni volevo incontrare Paul Bocuse. In una trasmissione radio chiedevano ai bambini di scrivere una lettera alle star della canzone, del calcio, del cinema. E io, nella mia lettera, scrissi che volevo incontrare Paul Bocuse.

 

Le cucine francese e italiana hanno futuro in Asia?

Sì, molto. Per esempio, prima c’era molto sushi, cose così, ma i ristoranti giapponesi non hanno saputo preservare l’autenticità del prodotto. Naturalmente, ci sono ristoranti giapponesi eccezionali, ma penso che l’80 per cento di ciò che si mangia in questi ristoranti non sia all’altezza. Per contro, la cucina italiana è la più consumata al mondo perché è una cucina più accessibile, anche nella preparazione. Quella francese è più complicata perché ha delle regole precise da seguire, anche se le cose si stanno evolvendo. Inoltre c’è un aumento degli atelier e dei bistrot e questo è un buon segno perché significa che l’Europa ritorna al centro della ristorazione.



E’ possibile rispondere all’egemonia economica cinese con una nostra invasione gastronomica?

Non penso che si possano invadere perché noi siamo molto meno numerosi. Però, se si guarda a città come Shangai e Hong Kong si vede che i più grandi ristoranti sono francesi. Pierre Gagner, Robuchon sono tutti là e fanno un lavoro importante ed eccezionale. Se si guarda la guida Michelin si vede che ci sono più ristoranti stellati in Giappone che in Francia e questo è preoccupante. Comunque, credo che le cucine francese e italiana abbiano un loro posto in città come Pechino dove la gente ha la possibilità di poter gustare qualsiasi cosa. Io, per esempio, ho assaggiato il mio primo sushi a 18 anni. E’ tardi, oggi, i miei figli a 7-9 anni hanno mangiato giapponese e quindi hanno una cultura gustativa molto differente da quella che potevamo avere noi. Sotto questo aspetto ci siamo molto evoluti. Purtroppo, non è così per quanto riguarda il gusto. Il cibo viene gonfiato per guadagnare in volume, si mette dell’aria nel prodotto così fa volume e si vende più caro. Il gusto, però, è perso. Cos’è la cucina? E’ concentrazione. E’ così che le cose prendono gusto. Il buono di un sugo è la concentrazione.

Cosa pensa della cucina cinese?

Non posso che pensarne bene perché è una cucina che lavora sulla struttura. In Cina non esitano a prendere dei gamberetti e metterli nell’acqua, senza preoccuparsi di pulirli: così il gamberetto prende una struttura differente. E’ una cosa che in Francia non si fa perché non si osa mettere direttamente i gamberetti nell’acqua senza averli lavati. Così, toccandoli, perdono di gusto, mentre lavorandoli come fanno i cinesi acquistano struttura. I ravioli cinesi, per esempio, sono stati portati in Francia negli anni 70 da un gruppo di grandi chef, come Claude Lebel, Michel Guérard e altri. E’ stato un viaggio importante che ha permesso di vedere le cose con occhi nuovi, comprenderle, gustarle e portarle nella propria cultura.

In Italia c’è un gruppo di chef che si definisce promotore della nuova cucina italiana. Esiste un movimento simile in Francia?

Credo che oggi si sia in un momento molto creativo per la cucina e sono molti i movimenti in Francia e nel mondo. Noi abbiamo formato un gruppo di colleghi chef per valorizzare la cucina francese e il suo patrimonio. Del gruppo fanno parte Ducasse, Robuchon, Thierry Marx ed io. Ci sono molte cose da difendere oggi. Una di queste, fondamentale, è la protezione del ruolo dell’alimentazione ed è un compito fondamentale per i cuochi e per la popolazione. Ho lavorato molto in questo senso con il nostro ministro dell’Agricoltura per redigere il patto della politica comunitaria. Anche gli italiani sono molto toccati da questo argomento perché l’Europa dice a francesi e italiani di smettere di fare prodotti tipici perché bisogna nutrire la popolazione. Vuole che si faccia come la Spagna o la Germania, cioè prodotti per tutti: produrre latte per tutti, maiale per tutti, coltivare fragole per tutti. E noi non siamo d’accordo perché se non si preserva la diversità, la cucina è morta. Perciò l’Italia e la Francia dovrebbero riunirsi attorno a questo progetto e dire che non vogliono fare come tutti gli altri. Noi vogliamo avere il nostro formaggio che puzza, avere il nostro vino, avere le nostre fragole differenti, perché questo è il nostro patrimonio. Voi dovete preservare i vostri pomodori, il vostro olio d’oliva, le vostre cose e noi dobbiamo preservare il nostro burro, la nostra crema, ciò che fa il Paese. Si deve protestare. I soli che oggi protestano, che si sono fatti sentire, sono gli chef francesi. Perché non fate come i colleghi di Francia per dire alle autorità mondiali che si vuole continuare ad avere i propri piccoli “robuchon”, i propri artigiani, perché i propri artigiani sono la forza della diversità e la forza della grande cucina. Oggi ci si deve battere per queste cose così importanti per il nostro futuro.

 

Qual è oggi il confine ultimo della cucina?

Credo che non sia stato ancora trovato. Da parte mia, lo cerco ancora. E’ importante continuare a cercare nuovi sapori, trovare nuove strade per procurare alla gente nuove esperienze, come sta facendo oggi la cucina francese. E come cerco di fare io. Gli anni 80 di Michel Guérard sono stati importanti perché, allora, si disse agli chef che dovevano finirla con la cucina classica e borghese e puntare su una cucina moderna, aperta, e scelta da tutto il mondo.

Se si dovesse gratificare con un piatto quale le piacerebbe?

Il prossimo...

Jerry Bortolan

di Jerry BortolanReporter, giornalista di viaggio ed enogastronomico.